lunedì 9 marzo 2009

Tòpos - certificazioni di presenza

Nel mondo contemporaneo è forse la fotografia quel territorio che permette di analizzare il reale mediante dei parametri personali, permettendo anche una messa a fuoco delle nostre capacità di elaborare un codice di comprensione per ciò che ci circonda, isolando ogni piccolo aspetto che si vuole far proprio. Ma se lo scatto può essere anche figlio di un’intuizione, il poter raggiungere un punto di vista oggettivo può portare lo stesso fotografo-architetto a capire meglio il rapporto che può intercorrere fra uomo e spazio che lo circonda, perché troppe volte ci si dimentica di chi sia il vero protagonista dei "tòpoi". Ed è forse il suo essere in parte testimonianza ed in parte rappresentazione il fondamento della sua ambiguità, divenendo materia in cui reale e artificiale si racchiudono in un’unica parentesi. Ha forse quindi ragione Henri Cartier Bresson quando considera l’obbiettivo come un prolungamento del nostro occhio attraverso il quale accettare la vita in tutta la sua complessità e assimilandolo ad uno strumento non adatto a rispondere al perché delle cose, essendo piuttosto fatto per evocarle.
E se ogni fotografia è un certificato di presenza come afferma il filosofo Roland Barthes, posso dire di aver incominciato a percepire gli UrbanVoids, cercando di non estraniarli dal loro singolo dato reale e provandone a percepire anche l’invisibile del luogo.
foto: Bruce Nauman - Square depression

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